Il sapore del caffè crudo è aspro. Dopo un periodo di stagionatura che dura qualche mese, per esaltarne il gusto e l’aroma i chicchi sono tostati a temperature più o meno alte con un processo che si chiama torrefazione.
Si determinano così varie trasformazioni: il chicco, originariamente giallo-beige-verde, diventa di un colore che gli esperti definiscono “dal manto di monaco alla testa di moro”; la cellulosa si carbonizza e gli zuccheri si caramellano. Gli oli affiorano in superficie donando al caffè il tipico profumo e aroma, ma formando al tempo stesso, se non è effettuata ad arte, sostanze tossiche come l’acreolina e il benzopirene.
La torrefazione, che rappresenta una tappa fondamentale nella produzione del caffè, viene fatta in genere nel Paese di consumo. Per il caffè tostato all’italiana le temperature sono elevate e raggiungono i 200-220 gradi.
Contrariamente a quanto comunemente si pensa, una torrefazione spinta non aumenta, ma riduce di circa il 20 per cento il contenuto di caffeina. Inoltre ha effetti benefici perché trasforma la trigonellina, uno degli alcaloidi del caffè, in acido nicotinico, che è il componente base della vitamina B3.
L’operazione è molto delicata ed esige ancora oggi l’occhio esperto del tostatore che controlla le “cotte” e sperimenta le nuove miscele. Alcune case produttrici di caffè fanno la tostatura a legna con caldaia in pietra refrattaria e raffreddamento ad aria.
Il raffreddamento deve essere molto rapido, in modo che le preziose sostanze aromatiche restino racchiuse nel chicco, per sprigionarsi in seguito, al momento della macinazione e della preparazione della bevanda.